sabato 9 marzo 2013

Storia dell'8 marzo

Storia dell'8 marzo

Il «Woman's Day» negli Stati Uniti (1908-1909)
 
Nel VII Congresso della II Internazionale socialista, tenuto a Stoccarda dal 18 al 24 agosto 1907, nel quale erano presenti 884 delegati di 25 nazioni - tra i quali i maggiori dirigenti marxisti del tempo, come i tedeschi Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, August Bebel, i russi Lenin e Martov, il francese Jean Jaurès - vennero discusse tesi sull’atteggiamento da tenere in caso di una guerra europea, sul colonialismo, sulla questione femminile e sulla rivendicazione del voto alle donne.
Su quest'ultimo argomento il Congresso votò una risoluzione nella quale si impegnavano i partiti socialisti a «lottare energicamente per l’introduzione del suffragio universale delle donne», senza «allearsi con le femministe borghesi che reclamano il diritto di suffragio, ma con i partiti socialisti che lottano per il suffragio delle donne». Due giorni dopo, dal 26 al 27 agosto, fu tenuta una Conferenza internazionale delle donne socialiste, alla presenza di 58 delegate di 13 paesi, nella quale si decise la creazione di un Ufficio di informazione delle donne socialiste: Clara Zetkin fu eletta segretaria e la rivista da lei redatta, Die Gleichheit (L'uguaglianza), divenne l'organo dell’Internazionale delle donne socialiste.
 
Non tutti condivisero la decisione di escludere ogni alleanza con le «femministe borghesi»: negli Stati Uniti, la socialista Corinne Brown scrisse, nel febbraio del 1908 sulla rivista The Socialist Woman, che il Congresso non avrebbe avuto «alcun diritto di dettare alle donne socialiste come e con chi lavorare per la propria liberazione». Fu la stessa Corinne Brown a presiedere, il 3 maggio 1908, causa l'assenza dell'oratore ufficiale designato, la conferenza tenuta ogni domenica dal Partito socialista di Chicago nel Garrick Theater: quella conferenza, a cui tutte le donne erano invitate, fu chiamata «Woman’s Day», il giorno della donna. Si discusse infatti dello sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie in termini di basso salario e di orario di lavoro, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto alle donne.
Quell'iniziativa non ebbe un seguito immediato, ma alla fine dell'anno il Partito socialista americano raccomandò a tutte le sezioni locali «di riservare l'ultima domenica di febbraio 1909 per l'organizzazione di una manifestazione in favore del diritto di voto femminile». Fu così che negli Stati Uniti la prima e ufficiale giornata della donna fu celebrata il 23 febbraio 1909. Verso la fine dell'anno, il 22 novembre, si vide a New York iniziare un grande sciopero di ventimila camiciaie, che durò fino al 15 febbraio 1910. Il successivo 27 febbraio, domenica, alla Carnagie Hall, tremila donne celebrarono ancora il Woman's Day.

La Conferenza di Copenaghen (1910)

 
Il Woman's Day tenuto a New York il successivo 28 febbraio venne impostata come manifestazione che unisse le rivendicazioni sindacali a quelle politiche relative al riconoscimento del diritto di voto femminile. Le delegate socialiste americane, forti dell'ormai consolidata affermazione della manifestazione della giornata della donna, decisero pertanto di proporre alla seconda Conferenza internazionale delle donne socialiste, tenutasi nella Folkets Hus (Casa del popolo) di Copenaghen dal 26 al 27 agosto 1910 - due giorni prima dell'apertura dell'VIII Congresso dell'Internazionale socialista - di istituire una comune giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne.
Negli ordini del giorno dei lavori e nelle risoluzioni approvate in quella Conferenza non risulta che le 100 donne presenti in rappresentanza di 17 paesi abbiano istituito una giornata dedicata ai diritti delle donne: risulta però nel Die Gleichheit, redatto da Clara Zetkin, che una mozione per l'istituzione della Giornata internazionale della donna fosse «stata assunta come risoluzione».
Mentre negli Stati Uniti continuò a tenersi l'ultima domenica di febbraio, in alcuni paesi europei - Germania, Austria, Svizzera e Danimarca - la giornata della donna si tenne per la prima volta il 19 marzo 1911 su scelta del Segretariato internazionale delle donne socialiste. Secondo la testimonianza di Aleksandra Kollontaj, quella data fu scelta perché, in Germania, «il 19 marzo 1848 durante la rivoluzione il re di Prussia dovette per la prima volta riconoscere la potenza di un popolo armato e cedere davanti alla minaccia di una rivolta proletaria. Tra le molte promesse che fece allora e che in seguito dimenticò, figurava il riconoscimento del diritto di voto alle donne». In Francia la manifestazione si tenne il 18 marzo 1911, data in cui cadeva il quarantennale della Comune di Parigi, così come a Vienna, dove alcune manifestanti portarono con sè delle bandiere rosse (simbolo della Comune) proprio per commemorare i caduti di quell'insurrezione.
La manifestazione non fu però ripetuta tutti gli anni, né celebrata in tutti i paesi: in Russia si tenne per la prima volta a San Pietroburgo solo nel 1913, il 3 marzo, su iniziativa del Partito bolscevico, con una manifestazione nella Borsa Kalašaikovskij, e fu interrotta dalla polizia zarista che operò numerosi arresti. In Germania, dopo la celebrazione del 1911, fu ripetuta per la prima volta l'8 marzo 1914, giorno d'inizio di una «settimana rossa» di agitazioni proclamata dai socialisti tedeschi, mentre in Francia si tenne con una manifestazione organizzata dal Partito socialista a Parigi il 9 marzo 1914.

L'8 marzo 1917 [modifica]

Le celebrazioni furono interrotte dalla prima guerra mondiale in tutti i paesi belligeranti, finché a San Pietroburgo, l'8 marzo 1917 (il 23 febbraio secondo il calendario giuliano allora in vigore in Russia) le donne della capitale guidarono una grande manifestazione che rivendicava la fine della guerra: la fiacca reazione dei cosacchi inviati a reprimere la protesta incoraggiò successive manifestazioni di protesta che portarono al crollo dello zarismo, ormai completamente screditato e privo anche dell'appoggio delle forze armate, così che l'8 marzo 1917 è rimasto nella storia a indicare l'inizio della «Rivoluzione russa di febbraio». Per questo motivo, e in modo da fissare un giorno comune a tutti i Paesi, il 14 giugno 1921 la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste, tenuta a Mosca una settimana prima dell’apertura del III congresso dell’Internazionale comunista, fissò all'8 marzo la «Giornata internazionale dell'operaia».
In Italia la Giornata internazionale della donna fu tenuta per la prima volta soltanto nel 1922, per iniziativa del Partito comunista d'Italia, che volle celebrarla il 12 marzo, in quanto prima domenica successiva all'ormai fatidico 8 marzo. In quei giorni fu fondato il periodico quindicinale Compagna, che il 1º marzo 1925 riportò un articolo di Lenin, scomparso l'anno precedente, che ricordava l'8 marzo come Giornata internazionale della donna, la quale aveva avuto una parte attiva nelle lotte sociali e nel rovesciamento dello zarismo.
La connotazione fortemente politica della Giornata della donna, l’isolamento politico della Russia e del movimento comunista e, infine, le vicende della Seconda guerra mondiale, contribuirono alla perdita della memoria storica delle reali origini della manifestazione. Così, nel secondo dopoguerra, cominciarono a circolare fantasiose versioni, secondo le quali l’8 marzo avrebbe ricordato la morte di centinaia di operaie nel rogo di una inesistente fabbrica di camicie Cotton o Cottons avvenuto nel 1908 a New York, facendo probabilmente confusione con una tragedia realmente verificatasi in quella città il 25 marzo 1911, l’incendio della fabbrica Triangle, nella quale morirono 146 lavoratori, in gran parte giovani donne immigrate dall'Europa. Altre versioni citavano la violenta repressione poliziesca di una presunta manifestazione sindacale di operaie tessili tenutasi a New York nel 1857, mentre altre ancora riferivano di scioperi o incidenti verificatesi a Chicago, a Boston o a New York.
Nonostante le ricerche effettuate da diverse femministe tra la fine degli anni settanta e gli ottanta abbiano dimostrato l'erroneità di queste ricostruzioni, le stesse sono ancora diffuse sia tra i mass media che nella propaganda delle organizzazioni sindacali.

In Italia

La mimosa

 
Nel settembre del 1944 si creò a Roma l’UDI, Unione Donne in Italia, per iniziativa di donne appartenenti al PCI, al PSI, al Partito d'Azione, alla Sinistra Cristiana e alla Democrazia del Lavoro e fu l’UDI a prendere l’iniziativa di celebrare, l’8 marzo 1945, la prima giornata della donna nelle zone dell’Italia libera, mentre a Londra veniva approvata e inviata all'ONU una Carta della donna contenente richieste di parità di diritti e di lavoro. Con la fine della guerra, l'8 marzo 1946 fu celebrato in tutta l'Italia e vide la prima comparsa del suo simbolo, la mimosa, che fiorisce proprio nei primi giorni di marzo, secondo un'idea di Teresa Noce,[12] Rita Montagnana e di Teresa Mattei.
Nei primi anni cinquanta, anni di guerra fredda e del ministero Scelba, distribuire in quel giorno la mimosa o diffondere Noi donne, il mensile dell'Unione Donne Italiane (UDI), divenne un gesto «atto a turbare l’ordine pubblico», mentre tenere un banchetto per strada diveniva «occupazione abusiva di suolo pubblico».[14] Nel 1959 le senatrici Luisa Balboni, comunista, Giuseppina Palumbo e Giuliana Nenni, socialiste, presentarono una proposta di legge per rendere la giornata della donna una festa nazionale, ma l'iniziativa cadde nel vuoto.
Il clima politico migliorò nel decennio successivo, ma la ricorrenza continuò a non ottenere udienza nell'opinione pubblica finché, con gli anni settanta, in Italia apparve un fenomeno nuovo: il movimento femminista.

venerdì 8 febbraio 2013

Alibrando Giovannetti: tentativi di ricostruzione dell'USI dopo il fascismo



Ai Lavoratori d’Italia (Ottobre 1943)
I sindacalisti rivoluzionari, che furono nel passato l’ala estrema del Socialismo e costituirono l’Unione Sindacale Italiana sciolta per ordine del Governo nel 1925, in previsione di eventi che maturano a causa dell’attuale guerra mondiale, hanno compilato un programma di realizzazioni politiche e sociali che riproduciamo per sommi capi, al fine di far conoscere il loro pensiero e i loro propositi alle masse lavoratrici, nella fiducia di incontrare la loro adesione ed allo scopo di spronarle alla loro unione in un blocco al di sopra di tutte le frazioni, di tutte le tendenze che tuttavia hanno le stesse idealità, le medesime aspirazioni, pur divergendo in questioni secondarie, di minore o nessuna importanza e che potranno essere oggetto di esame e di discussione al momento opportuno, quando sarà possibile tradurle in atto.
Sono questi i nostri postulati:
PROGRAMMA
- La nazione italiana è retta a Repubblica Socialista dei Sindacati. Il popolo è sovrano in quanto tutte le ricchezze della nazione sono socialmente appartenenti a popolo medesimo e quindi, non essendo soggetto economicamente ad altre classi o caste, può liberamente e in pieno esercitare il proprio potere sovrano mediante i Sindacati, che sono i suoi organi naturali economici e politici ad un tempo, le colonne del nuovo ordine sociale.

- Le terre, le fabbriche, tutti i mezzi di produzione, di scambio, di comunicazione, servizi d’ogni genere, sono di proprietà sociale che il Comune, la Regione, la Nazione, affidano in gestione ai lavoratori (operai, contadini, tecnici, impiegati) per mezzo dei rispettivi Sindacati d’aziende o enti cooperativi. Restano possessori del loro podere: piccoli proprietari contadini, della loro bottega gli artigiani, del loro studio gli artisti e professionisti liberi.

- Le industrie debbono essere gradualmente decentrate e diffuse in tutte le regioni, possibilmente presso i luoghi di estrazione o di produzione delle rispettive materie prime.
Tutti gli individui nati in Italia o naturalizzati, d'ambo i sessi e d'ogni età hanno diritto all’esistenza assicurata dalla nazione mediante un assegno vitalizio mensile, variabile a se¬conda dell'età e proporzionato alla potenzialità produttiva del paese.Tutti gli individui nati in Italia o naturalizzati, al rag¬giungere dei 18° anno di età hanno il dovere di lavorare o di proseguire gli studi se idonei e meritevoli, nell’interesse della società. ll lavoro è obbligatorio fino al 55° anno di età. Libera è la scelta della professione, dei mestiere, del servizio, a cui ciascuno intende dedicarsi. Il lavoro viene compensato, oltre che dall'assegno vitalizio, da un supplemento di guadagno a seconda del merito, della capacità e della produttività indivi¬duale o collettiva dell'azienda. I malati, i sinistrati, gli invalidi, i vecchi sono esenti dall'obbligo dei lavoro, temporaneamente o per tutta la durata della loro vita a seconda delle loro indi¬viduali condizioni. Sono esenti di questo obbligo pure le madri cha accudiscono alle cure della prole e quante altre sono impegnate nelle faccende domestiche. Chi ha il dovere di lavorare e non lo adempie durante il periodo stabilito non ha diritto all'assegno vitalizio, né ad altri guadagni, La disoccupazione non esiste. Eventuali sospensioni temporanee di lavoro per qualsiasi motivo, non dipendente dalla volontà dei lavoratori, non fa perdere ad essi l'assegno vitalizio che rappresenta il minimo necessario individuale per una vita normale moderna.
Il commercio, cioè la vendita dei prodotti è esercitato di ogni Comune che provvede all’approvvigionamento, affidando la distribuzione al pubblico ad empori e spacci cooperativi o individuali a prezzi fissati dal Comune.
La famiglia è il primo nucleo della Società, costituita dall'unione libera e spontanea degli individui dei due sessi. Li separazione o il divorzio sono ammessi quando, per vate cause, è divenuta impossibile la loro vita in comune.
La politica demografica è regolata a seconda delle necessità o meno di popolamento e delle condizioni economiche del paese.
Il Comune è il principale aggregato civile, urbano e rurale, costituito dalla città o dal paese e della campagna circostante, o da più villaggi con popolazione non inferiore ai cinquemila abitanti.
Il Comune provvede ai bisogni civili e economici, all’istruzione e all'educazione e a tutti i servizi locali della popolazione.
Esso è il primo centro politico della nazione, amministrato e controllato dai suoi abitanti mediante i propri organi che esprimono la volontà dei lavoratori per tramite della loro rappresentanza sindacale.
Le necessità ed i servizi pubblici intercomunali sono dipendenti da un'amministrazione più vasta, provinciale o regionale.
La Comunità Nazionale, detta comunemente Stato, retta a Repubblica Socialista dei Sindacati è una vera e propria rex publica (cosa pubblica) vale a dire, l'organo centrale regolatore e coordinatore della politica,dell'economia, dell'educazione, del¬la sanità pubblica, della tutela e della difesa di tutto il popolo che costituisce In Nazione. Ha un Comitato Esecutivo o Go¬verno composto di un numero limitato di membri quanti sono i dicasteri; è presieduto da una Presidenza composta di un triumvirato: un Presidente e due vice presidenti; tutti eletti dall'as¬semblea nazionale ogni cinque anni, tutti rieleggibili e revocabili.
L'assemblea nazionale è costituita dai rappresentanti di più corpi e consessi: 1° dei Comuni, 2° dette Provincie o Regioni, 3° dalle unioni dei Sindacati e degli Enti Cooperativi, che raggruppano tutte le attività produttive, professionali, artistiche, culturali, ecc. e perciò tutte le capacità, tutte le competenze.
La Difesa Nazionale è affidata ad un Corpo nazionale permanente, costituito da tutti i cittadini validi dai venti ai cin¬quant'anni che prestano un breve servizio ai venti anni ed in seguito sono a disposizione della Comunità Nazionale per ogni necessità eventuale. Ciò fino a quando non sarà stato conse¬guito il disarmo universale,
Il finanziamento dei Comune, della Provincia o Regione, della Nazione e dei loro Enti è dovuto ai proventi di tutte le .attività produttive che provvedono altresì al finanziamento del¬I'Ente distributore degli assegni vitalizi oltreché alla distribu¬zione dei compensi e dei guadagni al personale proprio. I piccoli proprietari, artigiani, artisti e professionisti liberi sono tenuti a versare un'unica quota alla Comunità, proporzionata ai loro guadagni.
L'istruzione e l'educazione è gratuitamente impartita dal Comune; per le scuole superiori provvede la provincia o la regione.
L’istruzione è obbligatoria fino ai 16 anni; dal 17° anno di età si inizia l’insegnamento professionale. I lavoratori sono tenuti a frequentare corsi speciali di breve durata dopo il lavoro, possibilmente nello stesso luogo in cui prestano la loro opera, come si fa per le adunanze sindacali.
L’insegnamento religioso è privato ed è esercitato negli edifici destinati al culto e alle pratiche religiose.
- La fede religiosa è un fatto privato e libero. Le chiese e i templi d’ogni religione sono proprietà nazionale come tutti gli edifici e i cittadini possono usufruirne liberamente a scopo di culto provvedendo da sé al funzionamento del servizio stesso.
E’ vietata la clausura dei religiosi.
- La lingua ufficiale è quella nazionale: l’italiana.
Si impartirà l’insegnamento della lingua internazionale quando questa sarà stabilita con accordi fra le nazioni.

- La Giustizia è amministrata dai magistrati con l’ausilio di medici psichiatrici, per i giudizi d’onore funzionano i giurì. Sono abolite le pene di morte e dell’ergastolo con relativa segregazione cellulare, sostituite con relegazioni in luoghi speciali di lavoro e di educazione.
Abbiamo insistito nel porre in evidenza la necessità di affidare non solo la gestione della produzione nazionale ai sindacati dei lavoratori d’ogni categoria – del braccio e del pensiero – ma anche la rappresentanza nei consessi comunali, provinciali e centrali, perché intendiamo che il Lavoro sia l’arbitro, il regolatore della vita sociale e politica, che il popolo del lavoro sia il sovrano della natura e il padrone di se stesso nella fabbrica, sul campo, in ogni servizio pel bene comune.
Non vogliamo parassiti ed oppressori nella vita economica come non vogliamo dominatori o dittatori od oligarchie di qualsiasi specie nella vita politica locale o nazionale.

Il popolo del lavoro deve godere intero il frutto della sue fatiche attraverso una giusta ripartizione, senza privilegi, senza sinecure. E deve essere libero di esercitare i propri diritti di amministrare i beni comuni, di autogovernarsi e di controllare, per mezzo dei propri sindacati, ogni attività civile, economica e politica. Nell’esercizio di questa libertà, nella eguaglianza dei diritti e dei doveri noi riponiamo fiducia nel conseguimento di quella Giustizia Sociale a cui tutti aspirano.

I SINDACALISTI RIVOLUZIONARI D’ITALIA