lunedì 23 aprile 2012

Alceste DE AMBRIS

Vai a: navigazione, cercaAlceste De Ambris (Licciana Nardi, 15 settembre 1874Brive-la-Gaillarde, 9 dicembre 1934) è stato un sindacalista, giornalista e politico italiano, fondatore e maggior esponente del sindacalismo rivoluzionario italiano e del movimento repubblicano e mazziniano "novecentista".
Gli anni del sindacalismo
Alceste fu il primo degli otto figli di Francesco De Ambris e Valeria Ricci, una famiglia numerosa ed unita della Lunigiana, regione storica in provincia di Massa-Carrara. L'epigrafe posta sulla facciata della sua casa natale Licciana Nardi (MS), presumibilmente dettata dall'amico e poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, così tramanda: "Qui il 16 settembre 1874 nacque Alceste de Ambris che l'ardente cuore temprò negli ideali di Giuseppe Mazzini e sempre lottò perché fosse emancipato il lavoro, libera la patria affratellata l'umanità. Morì esule in Francia il 9 dicembre 1934. Da questo lembo della forte Lunigiana, Anacarsi Nardi e Alceste de Ambris insegnano che la vita è missione".
Adempiuti gli obblighi scolastici a Massa e intrapresi gli studi universitari fino al secondo anno della facoltà di giurisprudenza nell'Università di Parma, abbracciò le idee socialiste, mettendosi in luce nella Cooperativa di produzione e di lavoro di Pontremoli. Nel 1898 fu particolarmente attivo nella redazione del periodico La Terra, diretto da Luigi Campolonghi. Colpito dalla repressione antisocialista di fine Ottocento e condannato per diserzione, fuggì in esilio, prima in Francia a Marsiglia, poi in Brasile a Rio De Janeiro e a San Paolo.
Rientrato in Italia nel 1903, nell’agosto di quell’anno De Ambris fu eletto Segretario della Camera del Lavoro di Savona, carica che tenne fino al febbraio del 1904. Lasciata Savona, De Ambris si trasferì a Livorno dove, in quello stesso anno, divenne Segretario della Federazione dei lavoratori del vetro. Trasferitosi a Roma, assunse la carica di dirigente della Gioventù Socialista ed iniziò a scrivere come giornalista su periodici di indirizzo sindacale. Tenne comizi e conferenze anche nella natia Lunigiana. Nel 1907 venne nominato segretario della locale Camera del Lavoro, che alla fine del 1907 contava 29037 lavoratori associati a fronte dei 12600 di inizio anno.
La rottura dell'unità proletaria, dovuta ai contrasti fra socialisti riformisti e sindacalisti rivoluzionari, permise la controffensiva agrario-padronale, sostenuta dal governo che impiegò carabinieri ed esercito nella repressione del primo e più vasto sciopero italiano agrario, attuato nel 1908 nella provincia di Parma. Il 20 giugno 1908 a Parma e provincia vi furono perciò molteplici manifestazioni e cortei di lavoratori organizzati e capeggiati dallo stesso De Ambris. Le forze di polizia governative cercarono allora di sedare tali tumulti. Dopo un'aspra lotta con gli scioperanti i Carabinieri e la Cavalleria del Regio Esercito (Lancieri di Montebello e del Piemonte Reale all'uopo comandati in servizio di ordine pubblico, essendo da tempo di stanza nella stessa Cittadella di Parma) occuparono la sede della prima e storica "Camera del Lavoro" del sindacalismo italiano ubicata nel battagliero e proletario Oltretorrente di Parma, in Borgo delle Grazie. Molti gli scioperanti ed i sindacalisti arrestati, ma Alceste de Ambris riuscì rocambolescamente a fuggire a Lugano. Suo fratello (e compagno di lotta) Amilcare rimase nascosto a Parma con l'intento e l'ordine di Alceste di ricostruire le leghe contadine ed il movimento sindacale represso "manu militari".
Da Lugano, Alceste De Ambris si spostò, esule e condannato politico contumace, in Brasile dove rimase per oltre due anni. Tornò a Lugano nel marzo del 1911 dove diventò co-direttore, assieme ad Angelo Oliviero Olivetti, della principale rivista sindacalista rivoluzionaria italiana, "Pagine Libere". In quel periodo continuò a svolgere una forte propaganda anticolonialista e antinazionalista (contro la guerra di Libia) collaborando altresì alla nascita dell’Unione Sindacale Italiana, sindacato fondato nel 1912 al convegno di Modena.
L'elezione alla Camera e l'interventismo
Nel 1913 fu eletto Deputato al Parlamento italiano, con voto popolare plebiscitario nel Collegio elettorale di Parma - Reggio Emilia - Modena per il PSI. Grazie ai benefici dell'"immunità parlamentare", poté così rientrare in patria. L'esule fu accolto da eroe risorgimentale a Parma ove migliaia di cittadini e lavoratori lo portarono in trionfo dalla stazione ferroviaria alla piazza Garibaldi, dove erano previsti i comizi di festeggiamento.
Riprese quindi la sua attività di organizzatore sindacale e direttore di giornali sia politici che sindacali, guidando, tra gli altri L’Avanguardia (organo dell’Unione Sindacale Milanese). Favorevole ad un fronte comune fra tutte le forze rivoluzionarie, democratiche ed internazionaliste, nell’agosto 1914, allo scoppio della Prima guerra mondiale, ritenendolo conflitto contro le vetuste tirranie europee, De Ambris insieme a Filippo Corridoni (conosciuto a Parma nel 1908) appoggiò il fronte interventista. Accolse con affetto e con la sua oratoria veemente di sindacalista rivoluzionario ed internazionalista le tesi irredentiste a difesa di Trento e Trieste e della Venezia-Giulia, che Cesare Battisti espose a Parma il 3 novembre 1914 in un memorabile comizio organizzato dall'Università Popolare e dal movimento repubblicano e mazziniano (Alfredo Bottai e Avv. Credali) con l'intervento altresì del socialista avv. A. Berenini alla scuola A. Mazza.
Egualmente appoggiò il successivo comizio interventista di Mussolini. Nel maggio del 1915 partì perciò per il fronte assieme a tutti gli altri volontari parmigiani capeggiati dall'avvocato e poeta repubblicano Ildebrando Cocconi, che per l'occasione compose l'"Inno dei Volontari". Si avvicinò nel 1919 al fascismo rivoluzionario ("sansepolcrista") che aveva fondamenti di movimento di sinistra, repubblicano, anticlericale, democratico, sindacalista, "futurista" ed antiborghese.
L'impresa fiumana
Nel gennaio del 1920 De Ambris raggiunse Gabriele d'Annunzio a Fiume, occupata il 12 settembre 1919 con i suoi mille "Legionari" per difenderne l'italianità e l'annessione alla Patria votata dalla maggioranza della popolazione già dal novembre 1918. D'Annunzio lo nominò suo Capo di Gabinetto nel Governo della Città in sostituzione del Capitano Giovanni Giuriati.
Per il "Comandante" e per la "sua" nuova libera repubblica chiamata "Reggenza Italiana del Carnaro" elaborò la innovativa e modernissima carta costituzionale detta perciò Carta del Carnaro. Questa divenne costituzione fiumana e repubblicana redatta da De Ambris (ma ritrascritta in letteraria prosa dallo stesso "Poeta-Eroe") nella speranza di anticipare la nascita di un movimento di chiara ispirazione social-rivoluzionaria e repubblicana da estendersi a tutta l'Italia.
La Carta del Carnaro prevedeva infatti l’attuazione di un ampio decentramento amministrativo nonché l’affermazione della democrazia diretta e del neo-sindacalismo con l’assegnazione di una funzione dirigente alle organizzazioni dei lavoratori, il suffragio universale esteso anche a tutte le donne e tra le altre "modernità" anche l'introduzione del divorzio. Seguì poi il Natale di sangue del 1920, drammatico fratricidio voluto dal governo di Giovanni Giolitti per far rispettare gli ultimi accordi internazionali su Fiume ed i territori irredenti della Dalmazia. Fu ordinato il bombardamento dal mare della Regia Marina e attacco da terra del Regio Esercito contro l'ostinata resistenza di D'Annunzio e dei suoi legionari con numerosi morti e feriti da ambo le parti e tra la popolazione.
Dopo Fiume
Con la tragica chiusura dell’esperienza fiumana, De Ambris rientrò a Parma, assumendo, da quel momento, una netta posizione antifascista. Nel maggio 1921, d’accordo con D’Annunzio, si presentò come candidato indipendente (sindacalista e legionario fiumano) alle elezioni politiche per il collegio elettorale di Parma-Reggio Emilia-Modena, nella prospettiva di formare un blocco di forze nazionaliste democratiche in grado di arrestare l’ascesa del fascismo. Ma il consenso elettorale post-bellico non gli fu sufficiente ed invece favorì le nuove forze proletarie emergenti (comunisti, socialisti unitari e popolari).
Insieme a Luigi Campolonghi ed a Giulietti (del sindacato lavoratori marittimi), De Ambris si recò poi a Gardone nel tentativo di convincere Gabriele d’Annunzio (che nella villa di Cargnacco si era rifugiato "in residenza dorata ma coatta e ben vigilata") ad assumere la guida di un movimento che fosse in grado di realizzare la pacificazione nazionale, sulla base dei postulati della Carta del Carnaro, da attuarsi entro il 4 novembre 1922. Il progetto di una presa di potere rivoluzionario-democratica capeggiata da d'Annunzio non si realizzò per l'opposizione dei vertici socialisti. Il tutto mentre ormai il fascismo si accingeva a conquistare il potere.
Il volontario esilio in Francia
Dopo essere stato insultato e sbeffeggiato a Genova da un piccolo gruppo di fascisti il 22 dicembre 1922, Alceste De Ambris nel febbraio del 1923 decise di trasferirsi in Francia. Qui, il 3 settembre 1926, lo raggiunse una condanna che lo privava della cittadinanza italiana e gli comunicava la confisca dei pochi beni posseduti in Italia. A Parigi De Ambris si pose alla guida di un consorzio di cooperative di lavoro aventi l’obbiettivo di procurare una sussistenza ai numerosi fuoriusciti antifascisti provenienti dalla provincia di Parma che vivevano allora in Francia. Nel paese transalpino fu in contatto con i più famosi esuli democratici (Amendola, Turati, Salvemini, ecc.) e fu eletto Presidente della Ligue Italienne des Droits de l'Homme (L.I.D.U.), fondata nel 1922, con Luigi Campolonghi quale Segretario. In Francia visse gli ultimi anni della sua esistenza in dignitosa povertà, ma in attiva operosità giornalistica ed organizzativa dell'antifascismo militante. Rifiutò le successive proposte giuntegli fin dal 1924, tramite numerosi esponenti del Regime e dal fratello Amilcare, per un possibile rientro in Italia.
Benito Mussolini parlò anche con D'Annunzio nel tentativo di convincere De Ambris a rientrare in Italia e così poi riferì a Yvon De Begnac:
« Gli dissi che il ritorno di De Ambris mi avrebbe riempito di contentezza. Gli avrei offerto non ponti d'oro, ma semplicemente e soltanto l'intera organizzazione dei lavoratori dell'industria. Ne avrei fatto l'interprete di quella giustizia sociale di cui fu, protagonista tra i protagonisti, il popolo di Parma. E ciò al di fuori di ogni insegna di partito, di ogni sagra di militanti della rivoluzione. Il Comandante ascoltò le mie parole. Mi chiese di poterle riferire a De Ambris. Osservai che il mio disegno gli era stato prospettato da comuni amici, in Francia. Alceste aveva confessato di sentirsi stanco. Anche suo fratello Amilcare gli aveva riferito, nei giusti termini, il mio desiderio di volerlo capo delle forze operaie italiane. Alceste ripeté ancora: "Sono stanco. Stanco di tutto. I giochi sono fatti. A che tornare alle stagioni bruciate?"  »
(Benito Mussolini parlando di De Ambris con Yvon De Begnac sui "Taccuini mussoliniani")
Benito Mussolini parlando di Alceste De Ambris sempre a Yvon De Begnac marcò comunque la distanza che li separava e commentò:
« Le sue idee sul sindacalismo d'urto, estraneo ad ipotesi di pace con l'organizzazione economica italiana, di ieri di sempre, cozzano con quelle di Rossoni e, perché no, con le mie. Il tema da lui preferito:"Tutto il potere ai sindacati", io non lo condividevo affatto. Ero per lo Stato, un nuovo Stato. E basta. L'avventura dannunziana della quale De Ambris era stato protagonista sociale, era irripetibile, nella forma e nella sostanza »
(Benito Mussolini parlando di De Ambris con Yvon De Begnac sui "Taccuini mussoliniani")
Alceste De Ambris si spense improvvisamente a Brive durante una riunione organizzativa di esuli politici italiani della L.I.D.U. La stessa Lega Italiana per i Diritti dell'Uomo comunicò ufficialmente il suo decesso il 9 dicembre 1934. Fu perciò sepolto nel piccolo cimitero della cittadina francese ove un'anima fraterna ed amica gli dedicò la seguente epigrafe:
« Alceste De Ambris - scrittore - tribuno - combattente - fiero conduttor di moltitudini - Liccania 1874 - Brive 1934 - Rifiutò gli agi e si curvò sulla miseria per consolarla e redimerla. Nato italiano morì cittadino del mondo. Errante cavaliere dell'ideale esule si fermò qui onde la pietra che ne sigilla le spoglie grida nel suo nome: amore ai ribelli odio ai tiranni! »
Il ritorno in Italia
Nel 1964 a Parma un "Comitato repubblicano di amici e fratelli di ideali e di lotta", coordinato da Alfredo Bottai, aprì una sottoscrizione per onorarne la memoria e traslarne le spoglie mortali in Italia. Per merito ed opera di questo Comitato, il 27 settembre 1964, a Parma, con una solenne cerimonia e alla presenza di autorità, rappresentanze politiche e sindacali sia locali che nazionali come l'Associazione Mazziniana Italiana e la U.I.L.. De Ambris fu quindi inumato nel civico cimitero della Villetta. Commissionato dall'amico repubblicano Ernesto Manghi, per conto del comitato per le onoranze, all'architetto Marco Pellegri è sormontato da un "vivente e volitivo" suo busto bronzeo opera dello scultore Carlo Corvi che reca l'epigrafe: "Alceste de Ambris - scrittore-tribuno-combattente per la libertà e la giustizia. Licciana 1874-Brive 1934".
da WIKIPEDIA

Nessun commento:

Posta un commento